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Internet of things: a che punto siamo?

C’è un nuovo paradigma nel web, e non è più la relazione tra utenti o tra utenti e i loro dispositivi: ora la rete è messa al servizio dei dispositivi stessi, per permetter loro di scambiare informazioni e attivarsi l’uno in funzione dell’altro. È la nuova frontiera di internet, è l’Internet of things.
Il concetto di internet of things (IoT) è relativamente recente: nato nel 1999 e sviluppato prima dal MIT e poi dall’agenzia di ricerca Gartner, parte dall’intuizione che i dispositivi possano dialogare tra loro e lo possano fare in modo intelligente, costruttivo, attraverso l’uso della rete. Per semplificare la vita all’uomo, ovviamente.
Una lavatrice che si aziona quando la corrente elettrica costa meno, un’automobile che si arresta per non scontrarsi con un’altra, un apparecchio biomedicale che invia informazioni a un computer per tenere sotto controllo i dati di un paziente, sono solo alcuni dei campi di applicazione dell’IoT.
Campi che silenziosamente stanno rivoluzionando la nostra vita.

Internet of things: sviluppi e applicazioni

L’internet of things sta avendo negli ultimi anni uno sviluppo esponenziale: secondo gli ultimi dati a disposizione, nel 2020 sono previsti 50 miliardi di dispositivi connessi sulla Terra, a fronte di una popolazione di “soli” 7 miliardi di persone. Si tratta di una rivoluzione non indifferente e che certo deve essere presa in seria considerazione dal mondo politico. Apripista in questo senso sono stati i parlamentari statunitensi Susan DelBene e Darrell Issa che si sono fatti promotori di un comitato ad hoc (il Caucus on the Internet of Things) che cercherà di vigilare e stilare una normativa, o per lo meno, un quadro di riferimento di quella che è la nuova frontiera dell’informatica sulla quale tutti i marchi più prestigiosi stanno convergendo. Un esempio lampante è proprio il nuovo gioiello di casa Apple, l’iWatch, che collegandosi al nostro iPhone dovrebbe permettere prima la gestione dei nostri dati e più avanti quella dei nostri elettrodomestici.

La realtà italiana dell’internet of things

In Italia il concetto è ancora poco noto e sicuramente non si tratta di un tema caldo nell’opinione pubblica. Tuttavia i grandi marchi di elettrodomestici (Electrolux, Whirpool e Indesit per citarne un paio), le testate di riferimento e le nuove generazioni, stanno già lavorando alla diffusione dell’IoT e all’analisi del suo impatto.Sono in particolar modo due le tematiche sulle quali si stanno concentrando gli analisti: la prima, più tecnica, riguarda le difficoltà di alfabetizzazione digitale italiana e la relativa molteplicità di linguaggi con cui i vari dispositivi dovrebbero parlare tra loro. Tra bluetooth, Wi-Fi, 3G e LTE c’è il rischio di aver quantità di linguaggi così varie e così incompatibili tra loro da rendere inapplicabile e poco gestibile la connettività degli oggetti.

Dall’altra, e forse più complicata da sistemare, c’è una discussione profonda delle implicazioni conseguenti la IoT. Se tutti i dispositivi sono connessi tra loro, basterà forse la breccia in uno di loro per rendere tutto il sistema insicuro e attaccabile? E ancora, siamo proprio sicuri di voler sempre lasciare che i nostri dispositivi siano localizzabili e la nostra auto o il nostro cellulare rintracciabile in qualunque momento?
Al di là delle problematiche tecniche, risolvere le controversie in termini di privacy e limiti dei campi applicativi è probabilmente la sfida più difficile e ingombrante che l’Internet of Things dovrà affrontare nei prossimi mesi. Una sfida tutta da giocare.

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