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L’OPEC taglia la produzione di petrolio, l’Europa acceleri il Green New Deal

Dopo settimane di trattative, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec e Opec+) ha trovato un accordo che prevede un significativo taglio della produzione di petrolio. L’intesa dovrebbe frenare il crollo delle quotazioni del greggio (-50% dall’inizio dell’anno), causato della forte riduzione dei consumi a livello globale (-33%), dovuta all’emergenza sanitaria in corso.

Gli USA si sono fortemente spesi per far sì che si arrivasse ad un accordo. Il crollo dei prezzi del petrolio sta infatti danneggiando fortemente l’economia americana e, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali 2020, il Presidente Trump non può permettersi che proprio alcuni tra i suoi più grandi finanziatori vengano colpiti da una crisi senza precedenti. Del resto, ci sono in ballo decine di migliaia di posti di lavoro negli USA e anche per questo Donald Trump ha prontamente ringraziato il Presidente russo Putin e Salman I, re dell’Arabia Saudita, per l’impegno preso.

In ottica prettamente economica, in un momento di drastico calo della domanda, è perfettamente sensato ridurre la produzione al fine di evitare il crollo dei prezzi ed è lecito che i Paesi produttori di petrolio facciano il possibile per tutelare la loro economia. Qualche dubbio sulla sostenibilità di questo sistema dovrebbe sorgere però nei governi di tutti quei Paesi che il petrolio non lo producono. Stiamo parlando di una materia prima che purtroppo ancora oggi è di fondamentale importanza per l’economia globale e accordi come quello siglato in questi giorni evidenziano la viscerale fragilità di qualsiasi Paese che non sia indipendente dal punto di vista energetico.

 

Cosa ne sarebbe dell’economia Europea se i Paesi esportatori di petrolio decidessero di tagliare ulteriormente la produzione?

Minacce di questo genere hanno già trovato riscontro nella storia recente, basti pensare a Putin, che nel 2014 minacciava di sospendere le forniture di gas all’Europa.

L’energia è fonte di vita e risulta quindi pericoloso affidare a pochi il totale controllo di materie prime così importanti. A questo si aggiunge il fatto, non secondario, che l’utilizzo dei combustibili fossili è la principale causa della crisi climatica globale. Ci troviamo quindi nella paradossale situazione di essere totalmente dipendenti da materie prime che avvelenano il Pianeta, minando il futuro stesso dell’umanità. Ma c’è di più, il caso ha voluto che il cosiddetto oro nero si trovi principalmente nelle mani di governi che troppo spesso si sono dimostrati ben distanti dal poter essere considerati democratici. La ricchezza generata dall’esportazione del petrolio non assicura insomma il benessere dei cittadini dei Paesi produttori, ma gonfia solo le tasche della classe dirigente, che troppo spesso si rivela profondamente corrotta.

Per completezza, non si deve scordare che l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio non è un “asse del male”, ma una organizzazione nata nel 1960 per difende l’economia dei Paesi esportatori dalle politiche predatorie delle sette sorelle, le compagnie petrolifere statunitensi, inglesi e olandesi che hanno monopolizzato il mercato del petrolio fino agli anni ’70. Si potrebbe dire, forse, che il totale controllo di risorse vitali e l’accentramento del potere economico e politico non possono non creare prevaricazione e difficilmente possono innescare meccanismi virtuosi.

Oggi possiamo liberare il Pianeta e l’economia dal giogo dei combustibili fossili

Oggi, diversamente dagli anni ’60, grazie alle fonti energetiche rinnovabili possiamo creare nuovi e più virtuosi equilibri geopolitici, liberando l’economia globale dal giogo dei combustibili fossili. Il tutto liberando il Pianeta dalla minaccia costante del climate change, che – come ci ricordano ogni giorno gli scienziati di tutto il mondo – è un problema concreto, che non può essere ignorato e che richiede soluzioni tempestive e radicali.

L’attuale emergenza sanitaria e i suoi risvolti economici, come il taglio della produzione di petrolio, sono l’occasione per riflettere sulla necessità di ripensare i modelli di produzione e consumo, a partire dagli approvvigionamenti energetici. L’energia verde da fonti rinnovabili rappresenta una alternativa sostenibile, democratica e condivisa ai combustibili fossili, che al contrario sono altamente inquinanti, antidemocratici – perché gestiti da pochi – e da sempre fonte di conflitti.

Le fonti rinnovabili, a differenza di quelle fossili, non sono di proprietà di nessuno, nessuno può oscurare il sole o fermare il vento e la tecnologia necessaria a trasformarle in energia saranno sempre più alla portata di tutti. Non solo potenzialmente ciascuno può produrre l’energia che consuma con sistemi domestici, ma già oggi esistono comunità energetiche indipendenti e addirittura scollegate dalla rete, ne sono un esempio gli impianti che stanno nascendo in Australia per dare energia ai villaggi e alle comunità che vivono nelle aree tragicamente colpite dagli incendi degli scorsi mesi.

Non vogliamo banalizzare la questione e siamo consapevoli delle difficoltà che comporta l’abbandono dei combustibili fossili, eppure la transizione energetica non può aspettare, il profitto di pochi non può continuare ad avere la meglio sul futuro del Pianeta e dei suoi abitanti.

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