È il materiale che, più di ogni altro, ha segnato il grosso cambiamento storico, culturale e antropologico vissuto dall’uomo durante il cosiddetto “Secolo Breve”, il ‘900. È questo il secolo in cui le società occidentali hanno modificato le loro abitudini e diffuso il loro stile di vita presso tutte le civiltà presenti sul pianeta. Grande protagonista della trasformazione è stato il petrolio, materia prima che è servita da combustibile per automobili, caldaie, macchinari industriali e da materiale base per la creazione di numerosi oggetti di uso quotidiano. Per gran parte del secolo, questa rapidissima evoluzione è sembrata la soluzione per eliminare la povertà in tutto il mondo; ma il petrolio ha ben presto mostrato tutti i propri limiti, evidenziando le gravi conseguenze collegate al suo utilizzo.
Nonostante avesse già condizionato le strategie coloniali ai tempi della grande invasione europea dell’Africa, nel XIX secolo, il petrolio diventa una delle cause principali degli scontri diplomatici e politici nel XX secolo, quando diventa la risorsa principale su cui si fonda l’economia moderna. La disponibilità mondiale di petrolio diminuisce e si trovano grandi riserve in una zona delicata del mappamondo: il Medio Oriente, terra politicamente e culturalmente invisa ai Paesi occidentali. La prima grande guerra che segna la dipendenza dell’Occidente dall’oro nero è la Guerra del Kippur, nel 1973, con la conseguente chiusura dei rifornimenti a Europa e Stati Uniti da parte dell’Arabia Saudita. A questa guerra ne seguiranno molte altre nella medesima area, tutte volte a stabilire rapporti strategici nella regione.
Come se non bastassero i gravi problemi politici e militari ad esso connessi, il petrolio è anche sotto accusa per il suo devastante impatto sull’ambiente in praticamente tutte le fasi della sua lavorazione, a partire dall’estrazione. Questa, infatti, è alla base di problemi sismici in aree dove il sottosuolo instabile cede allo svuotamento delle sacche in cui il petrolio si agglomera; in ambiente marittimo, l’estrazione petrolifera provoca grossi danni ai fondali e alle alghe, alla base del ciclo alimentare subacqueo. La fuoriuscita di idrocarburi dalle navi petroliere durante il trasporto è stata causa di catastrofi ambientali tristemente famose, e l’utilizzo del petrolio come carburante è tra i fattori principali del riscaldamento globale dell’atmosfera terrestre. La stessa plastica deriva dal petrolio e sono necessari milioni di anni perché possa essere “riassorbita” nell’ambiente.
La maggiorparte della plastica, dunque, deriva dal petrolio; e di plastica è fatta la maggior parte delle bottiglie di acqua minerale che vengono vendute in molti Paesi, per un consumo di miliardi di metri cubi di acqua in tutto il mondo. Di conseguenza, la plastica può essere misurata in milioni di metri cubi di petrolio estratto. E l’estrazione, come sappiamo, è altamente inquinante per i metodi e per la produzione di gas serra che comporta. Da anni sono state sviluppate politiche che sensibilizzano sul consumo di acqua in bottiglia in favore dell’acqua potabile corrente che arriva nelle case di buona parte del mondo occidentale: una questione etica e ambientale.
Per evitare l’inquinamento dovuto alla plastica da petrolio, si deve sicuramente riciclare (le bottiglie PET per esempio sono tra i prodotti meglio riciclabili) o utilizzare bioplastiche, ovvero plastiche derivate da sostanze naturali e spesso biodegradabili, come la canapa. Ne scriveremo presto sul nostro blog.