Statoil, Dong Energy e Gdf Suez: sono queste le ultime compagnie petrolifere, in ordine di tempo, che hanno deciso di abbandonare l’Artico, con la motivazione che lo sfruttamento di quella zona per l’estrazione di combustibili fossili rischia di diventare non solo pericolosa, ma anche troppo costosa e quindi non conveniente dal punto di vista economico. A colpire, in particolare, è l’abbandono di Statoil, che si è ritirata dall’area senza trivellare nessun pozzo, pur essendo stata la compagnia più attiva, nel 2014, sotto il profilo delle esplorazioni. La conferma della notizia, che è stata diffusa dal quotidiano danese Politiken (non a caso, visto che politicamente la Groenlandia rientra sotto la giurisdizione della Danimarca), è arrivata da Bloomberg, testata di settore sempre ben informata.
Statoil va ad aggiungersi, quindi, alla francese Gdf Suez e a due compagnie petrolifere danesi, la Dong Energy e la Maersk, che negli ultimi tempi avevano stabilito di abbandonare la Groenlandia orientale ritenendo l’attività troppo poco redditizia. Knut Rostad, portavoce di Statoil, ha reso noto che la società si concentrerà in maniera particolare sul mare di Barents, più vicino e considerato dotato di un potenziale più vantaggioso.
Il fatto che siano sempre di più le compagnie petrolifere che hanno scelto di lasciare l’Artico non è casuale: a Bloomberg l’esperto James Henderson, impiegato presso l’Oxfort Institute for Energy Studies, ha fatto notare che molto probabilmente nei prossimi anni le esplorazioni artiche andranno incontro a un notevole ridimensionamento. Oltre alle questioni territoriali, poi, c’è da prendere in considerazione l’incertezza relativa ai prezzi del petrolio e alle previsioni sul loro andamento. Lo scorso dicembre, per esempio, era stata la compagnia americana Chevron a lasciare le acque dell’Artico, proprio per questa ragione.
Perché le compagnie petrolifere se ne stanno andando?
I colossi del petrolio da un lato devono fare i conti con un territorio, quello artico, che si sta rivelando più impegnativo e più ostico del previsto, e dall’altro lato con prezzi del petrolio incerti: se la discesa dei mesi scorsi sembra essersi arrestata, non è comunque possibile avere delle sicurezze concrete. Nell’Artico sono presenti riserve per miliardi di barili che non sono ancora state sfruttate, ma non ci si può dimenticare del fatto che in quella zona i costi delle trivellazioni off-shore sono molto elevati. Sono due, in sintesi, le ragioni che determinano spese tanto alto: la notevole distanza dalle coste e le condizioni meteo che non sono certo favorevoli.
Che la decisione delle compagnie petrolifere possa rappresentare un ulteriore incentivo verso il ricorso alle energie rinnovabili, è ancora tutto da verificare: certo è che l’esplorazione globale in cerca di nuove potenzialità per quel che concerne il greggio, e quindi il petrolio, con il ritiro dall’Artico ha subìto un colpo non indifferente.
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